Sake, la guida completa: un viaggio in Oriente (Parte II)

Continuiamo con la guida completa dedicata al Sake. Ci inoltriamo adesso in una densissima spiegazione, cercando di essere corretti e coerenti, della produzione del sake, fino a toccare una delle tecniche all’avanguardia ed unica di esso, la fermentazione parallela multipla. Planeremo tra le diverse tipologie di sake e ormeggeremo nella degustazione con qualche abbinamento.


Questo articolo fa parte di una guida completa dedicata al Sake. Puoi leggere i prossimi articoli della raccolta qui:


In principio era il riso

  • Preparazione del riso:
    si procede con la levigatura del riso, momento fondamentale perché elimina elementi presenti sulla superficie del chicco che potrebbero dare sgradevolezza al prodotto finale (per ulteriori info, vedi la PARTE I). La classificazione del sake avviene anche a seconda del livello di levigatura (seimai-buai) del riso ed è indicato in etichetta.“Il processo di levigartura viene eseguito attraverso un macchinario che pulisce il chicco in modo lento e delicato, dato che un’azione troppo forte rischierebbe di surriscaldare o rompere i chicchi” (vi viene qualche associazione con l’acino ?!).[1]
    Il sake che ha subito un maggior processo di levigatura del riso avrà aromi delicati e fruttati, una struttura più esile e meno acidità. Più è grossolana la lavorazione più si avrà un sake con sapori più decisi (umami[2]).“Una volta levigato il riso riposa per circa tre giorni al fresco e buio per farne abbassare la temperatura e recuperare umidità. La levigatura lascia i chicchi sporchi e ricoperti di una polvere finissima e di residui della lavorazione che verranno rimossi tramite lavaggio in acqua. La durata dell’immersione varia a seconda del tipo di sake da produrre. Quando il chicco ha assorbito il 30% del suo peso viene cotto a vapore”.[3]
  • Preparazione del Koji:
    Il riso cotto viene diviso in due parti, una delle quali verrà utilizzata per il Koji (un po’ come il concetto di lievito madre) in una parte appositamente dedicata della sakagura (la cantina): il riso verrà ricoperto di aspergillus oryzae ( )[4] in modo tale che le spore della muffa Koji, ricchi di enzimi, attiveranno la trasformazione dell’amido in zucchero. Con un controllo accurato della temperatura della zona della sakagura dedicata, verrà automaticamente avviato il processo di crescita della muffa che a seconda della quantità ne determinerà il gusto.
    “Quando la muffa ha fatto il suo lavoro, il riso che ne viene fuori
    appare lucido, di consistenza friabile e gusto dolce”[5].
  • Preparazione dello shubo:
    Lo shubo (o madre del sake) altro non è che l’unione del riso cotto precedentemente, parte del Koji, l’acqua e il lievito (con eventuale aggiunta di acido lattico, usato anche per prevenire lo sviluppo di batteri che produrrebbero un sapore sgradevole; questo metodo risale all’epoca Meji); è in questo momento che gli enzimi del koji inizieranno a saccarificare il riso. Dallo shubo si arriva al processo di fermentazione del moromi[6] ;“Il Sake prodotto da uno shubo di due settimane è profumato,morbido e rinfescante, con sapore tenui e semplice. In circa 30 giorni invece avremo un sake ricco, aromatizzato, complesso e cremoso”[7]
  • Preparazione del sandan shikomi:
    È il processo in tre fasi di fermentazione del sake; nel primo giorno parte del Koji, riso cotto, acqua vengono aggiunti al lievito madre.Il secondo giorno è quello di riposo per permettere ai lieviti di attivarsi[8];il terzo e quarto giorno vede l’aggiunta del resto del Koji;
  • Fermentazione parallela multipla:
    Il glucosio che si è ricavato grazie al Koji dall’amido di riso nel quinto giorno servirà ai lieviti per convertirlo in alcol e anidride carbonica; questa fase di conversione di amido in zucchero e poi di quest’ultimo in alcol avviene parallelamente e nello stesso contenitore;“Questo processo è utilizzato esclusivamente per la produzione del sake. Dura dai 30 fino ai 45 giorni a temperature basse di circa 11-13 gradi. Al termine si avrà una gradazione alcolica di circa 20% vol (fino a un 25% vol.)”.[9]
  • Filtraggio:
    Il moromi fermentato è spostato in sacchi e filtrato. Con il metodo tradizionale i sacchi vengono appesi e man mano il liquido limpido cola e viene recuperato. Oggi si utilizza il moderno sistema a pressione. Il tempo di riposo dura fino a un massimo di 10 giorni. Si passa al filtraggio con carbone attivo (per donare l’aspetto finale leggermente ambrato del sake e per eliminare eventuali odori indesiderati); a seconda della scelta del toji (capo mastro della cantina) si sceglierà se imbottigliare, lasciarlo in cisterna o in botte;
  • Pastorizzazione:
    Necessaria sia per stabilizzare il prodotto finale, potrebbero partire reazione chimiche,dovute agli enzimi, indesiderate, sia per evitare contaminazioni microbiche. La pastorizzazione avviene a una temperatura massima di circa 65 gradi.

Dopo anche anche questa fase, il nostro sake è pronto per essere imbottigliato.

Tipologie di Sake

  • Sake: letteralmente “alcol”. Forse potrà sembrare strano parlarne solo adesso in termini di significato, ma quando parliamo di sake, in Giappone, si fa riferimento a qualsiasi bevanda alcolica.
  • Nihonshu: letteralmente “sake giapponese”.
    È la parola utilizzata in Giappone per indicare la bevanda alcolica che comunemente all’estero viene chiamata semplicemente “sake” .Introdotta in Giappone negli anni Settanta ed è utilizzata per indicare esclusivamente la bevanda giapponese ottenuta dal riso fermentato”;[10]
  • Seinshu: “sake raffinato”. È sempre presente in etichetta per le procedure di export-import;
  • Futsu-shu: “sake comune”. Sake di carattere commune e popolare (il vino/sake da tavola (per intenderci).

Ora che abbiamo chiarito le varie nomenclature, citerò alcune classificazioni (così come presenti per il vino) decise dal governo giapponese.

  • Sake di puro riso-koji e acqua (senza aggiunta di alcol):
    Junmai-shu, Junmai Ginjo-shu, Junmai Daiginjo-shu;
  • Sake con aggiunta di alcol:
    Honjozo-shu, Futsu-shu-Ginjo-shu, Daiginjo-shu;
  • Sake Speciale:
    Arabashiri (è la prima spremitura del sake, pertanto non è limpido come gli altri e ha una percentuale di alcol), Choki chozo-shu (lasciato riposare lungamente); Genshu (senza diluizione di acqua, molto alcolico); Happo-shu (sake frizzante); Kijo-shu(invecchiato e prodotto a partire da sake al posto dell’acqua).

Parametri per la Degustazione e Abbinamento Sake

Come per il vino, anche il sake gode dell’analisi organolettica con le sue diverse sfumature già a partire dalla limpidezza nel calice, i sentori soprattutto fruttati presente all’olfattivo (che si chiama ginko-ka) e per finire con l’assaggio al palato. Chiaramente ruolo fondamentale lo svolge l’alcol (se riscaldato andrà ad esaltare determinati aromi). Avendolo nominato, poniamo l’attenzione su di una questione spinosa: il sake non va degustato esclusivamente caldo (e come digestivo a fine pasto! Contrariamente si può pasteggiare tranquillamente a seconda delle pietanze, degli abbinamenti e tipologia. Insomma, come il vino). Pertanto, non c’è nessuna causalità tra sake freddo e caldo ma altresì una scelta ponderata che andremo ad analizzare (ma in larga misura è meglio poterlo degustare a basse temperature per poterne scoprire le sue proprietà: con un sake riscaldato avremo l’alcol a farne da “protagonista” comprendo eventuali imperfezioni!).

Il sake freddo (Reishu) nasce in epoca recente grazie alla modernità delle macchine di produzione e generalmente è possibile degustarlo anche in calici da vino; la gradazione ideale è tra 10-5 gradi. In aggiunta anche il sake a temperatura ambiente (Shitsu-on o Jo-oh) servito a 20 gradi. Il sake caldo (Atsu-Kan) è riscaldato “posizionando il tokkuri[11] con la bevanda in una pentola d’acqua calda. Si abbina benissimo a cibi caldi come stufati e bolliti ad alto contenuto di grassi”, avendo il sake un grado alcolico più alto, e quindi aiuta a sgrassare la bocca; la gradazione ideale è di circa 50 gradi.

Come accennato, per degustare un sake dobbiamo tener conto di: aspetto, aroma e sapore.
Per quanto concerne l’aspetto, si analizzeranno chiarezza (trasparente, torbido,opaco, brillante), colore (chiaro o scuro: da trasparente fino a dorato) e viscosità (bassa, media,alta).
L’analisi dell’aroma prevede di ruotare due volte il calice e odorandolo tra i due momenti (come il vino) e fare tutte le riflessioni del caso. Si beve avvolgendo bene tutto il palato per percepirne i sapori (come tutte le analisi di questo tipo). Da qui potremo distinguere il sake dolce da quello secco; la percezione dell’umami (sopra citato), acidità, amarezza e usando terminologie come: ricco, pieno, bilanciato, intenso. Il retrogusto determinerà la chiusura: lungo, secco, delicato, corto.
Arriviamo al momento dell’abbinamento che ha il ruolo fondamentale di risaltare la pietanza che si sta mangiando.
Fondamentalmente abbiamo quattro macro-gruppi che aiutano ad abbinare:

  • Sake Fruttato: carpacci di pesce e tempura di verdure.
  • Sake Maturi: qui ritorna preponderante l’umami, per cui carni, formaggi e stufati.
  • Sake morbidi e leggeri: sashimi
  • Sake corposo: costine di maiale.

Siamo giunti alla fine di questa seconda parte dedicata al Sake e al Giappone. Vi aspettiamo per la terza ed ultima parte dedicata alle curiosità di questa bevanda.

[1] Il libro del Sake, pag.40

[2] Uno dei cinque gusti fondamentali, può essere tradotto come saporito, e indica il gusto che il glutammato da ad alimenti come carne, formaggio, alghe e molti altri.
S.Viti, M Yamada, Il Libro del Sake, pag.157

[3] ivi

[4] Fungo utilizzato per saccarificare il riso

[5] ivi

[6] Miscela di fermentazione ottenuta da riso cotto, Kojii, acqua e lievito.

[7] ivi

[8] “Il termine giapponese di questo passaggio è odori, danza, e richiama il movimento dei lieviti che si moltiplicano”. ivi

[9] Pag.41

[10] Pag. 50

[11] Bottiglietta tradizionale contenente sake, di colore scuro per proteggerlo dalla luce, il più delle volte dipinto a mano, accompagnato dal o-choko, piccola tazza sempe in ceramica ove versarlo. Il kikichoko con fondo bianchi e centri concentrici blu vengono utilizzati dai sommelier. ndr

Bio Autore

Elena Di Vaia

Cresciuta sulle ginocchia del nonno tra le vendemmie.
Immersa alla scoperta del vino con il papà. Sommelier Ais per forza di gravità.
"Si mens et corpus homini vino flagraret"- la mente e il corpo dell'uomo ardono per il vino, recitava Platone. Da brava discepola laureata in Filosofia ma curiosa del mondo, passeggio tra l'Economia Civile ed un Master in Etica Economia e Management.
Hobby? Comunicare e scrivere.Così vago tra ospiti e interviste nel mio format radiofonico RadioWineDesign dall'istituto Italiano di Design di Perugia.
Articolista Freelance, perchè se non chiacchiero di vino sento il bisogno di traslare le parole su carta. Il fenomeno che mi piace analizzare? La comunicazione su Instagram.
Hai mai sentito parlare del WineErasmus? Il progetto che porta il vino on the road ?!
Collaboro sulla rivista "The Design Magazine" con la mia rubrica "Wine Design".
Per sapere di più, un Simposio platonico è quello che ci vuole.

2 commenti

Lascia un commento

X