Ai piedi del monte Amiata, nell’ombra gettata dal colosso di Montalcino, si nasconde una Doc che non ti aspetti, che non trovi con facilità nelle carte dei ristoranti o delle enoteche: Montecucco. Circondata dall’asprezza della natura maremmana, che niente ha a che vedere con i dolci colli della Val D’Orcia e con quelle cartoline con su scritto “Toscana” che si vedono nei negozi di souvenir, se ne sta lì, in attesa di essere scoperta.
Austera e celata, aspetta il passante curioso, quello che si spinge fuori dagli itinerari, quello con gli occhi che vanno oltre ai confini noti. Si tratta di una denominazione davvero recente, istituita dal 1998, per mano di 18 produttori. La DOC Montecucco è prodotta sia in versione “Montecucco Bianco” , “Montecucco Rosso” ed anche “Montecucco Vin Santo”. I vitigni idonei alla produzione di questi vini sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata, e cioè, in primis, Sangiovese, Ciliegiolo, ma anche Trebbiano toscano, Vermentino, Malvasia bianca lunga e Grechetto.
In realtà, nonostante questa zona sia stata considerata come “vocata” alla viticoltura solo negli ultimi anni c’è chi, già con largo anticipo, vi produceva vino.
La famiglia Salustri è presente sul territorio di Montecucco da generazioni, con vigne di loro proprietà risalenti all’inizio del secolo scorso. In prevalenza composte di un particolare clone di sangiovese , “clone di Sangiovese Salustri“, queste sono state recuperate all’inizio degli anni 90 da Leonardo Salustri, erede della famiglia ed attuale proprietario dell’azienda.
Ed è dunque dall’Azienda Agricola Salustri, che ho deciso di partire in questo mio approfondimento maremmano. Dopo aver percorso una stretta via da poco asfaltata, che costeggia filari e bosco, giungiamo ad un piccolo borghetto, l’Agriturismo il Mandorlo, sempre di proprietà dell’azienda.
Ad accoglierci è una splendida terrazza, che si affaccia sulla vallata sottostante. Vi assicuro che non so se ci sia luce capace di fargli l’onore almeno quanto abbia saputo fare quella delle 5 di pomeriggio di quel limpido venerdì di febbraio. Dopo poco ecco che arriva Leonardo, un ragazzino di appena 73 anni. I capelli sotto alla coppola grigia sono bianchi, ma gli occhi ancora vispi e grandi, brillanti. Le gambe sono quelle di chi i vigneti li solca a grandi passi, da una vita… e non si è ancora stancato.
Visitiamo la cantina, dove troviamo le grandi botti di legno in cui riposa il suo Sangiovese, quello che poi andrà in purezza nei suoi Santa Marta, Grotte Rosse e Terre D’Alviero.
Ogni vendemmia fa razza a sé , non posso decidere a priori se l’uva raccolta da un determinato vigneto, quell’anno, vada poi bene per realizzare l’etichetta ad esso associata. Non importa se la vigna è Grotte Rosse, io l’uva l’assaggio e se sento che non è Grotte Rosse allora non farà parte di Grotte Rosse, non importa da dove provenga
Un’esperienza lunga una vita e una passione inestinguibile, sono quello che trapela da ogni sillaba, da ogni sospiro e dal semplice modo che ha di guardarsi intorno in cantina, di toccare cisterne contenti Narà, il Vermentino che porta il nome di sua moglie, ormai scomparsa.
Grande annata la 2019 per Narà, penso proprio che ci darà tante soddisfazioni
Concludiamo la visita andando a degustare la precedente annata di Narà e i suoi tre Montecucco Sangiovese DOCG.
- Narà 2018 è un vementino “come si deve”, non piacione, senza ricordi di frutta tropicale. Una bella freschezza, che nel caso del 2019 è ancora maggiore, ma che si ritrova anche in questa annata, che ha una beva incredibile.
- Il secondo vino proposto è “Rosè di Chiara 2018“, l’ultimo nato della cantina, intitolato ad una delle nipoti di Leonardo, che ne ha persino disegnato l’etichetta.
La particolarità di questo rosato risiede la varietà di uve che lo compongono: diversi vitigni a bacca nera provenienti da un ettaro di terreno che l’azienda ha dedicato alla sperimentazione, in collaborazione con l’università di Pisa.
Colore splendido, buccia di cipolla scarico, frutti aciduli al naso (riber rosso) e la freschezza al palato già raccontata in Narà. - Per chiuderei i 3 grandi rossi: “Santa Marta 2016”, “Grotte Rosse”, “Terre d’Alviero 2016”.
Tre splendide espressioni di un sangiovese in purezza, che si manifesta riconoscibile nelle sue caratteristiche tipologiche e che, contemporaneamente, acquista un carattere proprio in ogni etichetta. Santa Marta, esuberante ed d’impatto, Grotte Rosse, avvolge ed elegante, fino ad arrivare alla complessità, alla finezza, alle note di liquirizia e di bosco di Terre d’Alviero.
Una visita incredibile: un viaggio nel tempo, nell’enologia, nella storia di una azienda e di un individuo. Capisco di amare veramente il mondo del vino, non quando mi trovo di fronte a grandi etichette, ma quando ho la possibilità di conoscere grandi persone.
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