Le differenze dell’acidità del vino

Di seguito un glossario prêt-à-porter per capire di cosa si parla quando si tira in ballo il termine acidità nel vino. È bene distinguerle in acidità totale, volatile e fissa. Per totale s’intende l’inclusione di quelli fissi e volatili. In Italia è espressa per convezione in g/l di acido tartatico. In Francia in g/l di acido solforico.L’acidità volatile concerne gli acidi volatili come quello acetico, formico, propionico e butirrico.

Possiamo trovare l’acidità volatile  nel vino in tutte le fasi di produzione, da quelle pre-fermentative fino all’invecchiameto.
In fase pre-fermentativa, partiamo da uve che non sono in uno stato ottimale di salute (da lesioni alla muffa grigia) si può verificare un tenore elevato di acidità volatile, giacchè possono essere partite alterazioni batteriche o perchè i lieviti presenti sulle bucce possono aver cominciato a fermentare gli zuccheri.
Nella fase fermentativa con uve sane, il primo produttore di acidità volatile è il lievito saccharomyces: dalla fermentazione, oltre ad alcol e Co2, si ottengono anche altri sottoprodotti come proprio l’acidità volatile. Tanto più alto è il grado zuccherino, tanto più è alta l’acidità acetica, trattasi in questo caso di uno stress osmotico, in cui il lievito non è in grado di convertire nella fasi iniziale lo zucchero. Molto dipende dalla genetica stessa del lievito, quindi dalla specie e dal ceppo.
Durante gli arresti fermentativi, ogni volta che il lievito subisce uno shock produce quantitativi elevati di acido acetico come reazione per bilanciare il potenziale redox.
Nella fermentazione malo-lattica, anche  i batteri lattici sono produttori di acido acetico in minima parte; in particolare gli eterofermentanti: dal malico producono anche quantitativi limitati di acido acetico.
Nella barrique e durante l’affinamento, ne viene rilasciato un piccolo quantitativo, contenuto nel legno; segue poi l’ossidazione, l’alcol va dapprima verso l’acetaldeide e poi verso l’acido acetico.
– ci spiega l’enologo.

L’acidità volatile è espressa in g/l di acido acetico. Nella normativa corrente non deve superare il 10% del grado alcolico.
In ultimo quella fissa è il risultato della sottrazione fra le due acidità. È costituita dall’acido tartarico, dall’acido malico e dall’acido citrico, in larga misura.

Cerchiamo ora di chiarire le varie acidità sopra citate:

  • Acido Acetico: principale costituituente dell’acidità volatile. Presente già nelle prime fasi della fermentazione alcolica quando è ancora presente la maggior parte dello zucchero fermentescibile. Una maggior concentrazione è dovuta, per esempio, ad un elevato tenore zuccherino nei mosti, numerosi arieggiamenti durante la vinificazione, temperature elevate, o ancora uve alterate, nelle fasi di maturazione e d’invecchiamento in botte. Oltre una certa soglia, l’acido acetico diventa una vera e propria patologia: un’infezione causata dall’attività dell’acido batterico. Le cause possono essere molteplici come la non sanità dell’uva, una cattività fermentazione, elevate temperature di queste ultime.
  • Acido Citrico: è un idrossiacido (acido carbossilico nella cui molecola è presente il gruppo idrossilico -OH) diffuso largamente nel mondo vegetale. Il succo di limone, ad esempio, ne contiene fino all’8% circa. Nelle uve e nel mosto è biodegradabile e metabolizzato dall’attività batterica. Nel mosto è inoltre quello presente in minor quantità ed è percepibile con un senso di salivazione.
  • Acido Malico: è un idrossiacido. È presente in natura nella frutta, in particolare nelle mele e nell’uva. Nei mosti è indicato con L. Biologicamente instabile, metabolizzato dai batteri lattici che lo trasformano in acido lattico e anidride carbonica. La fermentazione malo-lattica avviene spontaneamente con l’innalzamento delle temperature (solitamente intorno ai 18-20°), con un PH del vino molto basso, una limitata concentrazione di anidride solforosa e di alcol inferiore a 15%. Ne consegue una diminuzione dell’acidità del vino che risulterà così più morbido, ricco di corpo. Di seguito, per completezza informativa riportiamo la formula della fermentazione malo-lattica.
    COOH-CHOH-CH2-COOH COOH-CHOH-CH3 + CO2
  • Acido Tartarico: è un bicarbossilico da cui si possono generare due categorie di sali, quelli acidi e quelli tartrati. Tipico e quasi esclusivo dell’uva. Con il trattamento termico si ottiene l’acido metatartarico che si utilizza in enologia per evitare l’insolubilizzazione dei sali dell’acido tartarico come il bitartato di potassio (facente parte dei sali acidi) e il tartrato di calcio (facente parte dei sali tartrati). Ha un tempo limitato di circa 10 mesi, successivamente cessa l’effetto di anticristallizzazione.


Si ringrazia la collaborazione dell’enologo Dott.re Serafino Marco D’Urzo, dell’Università Federico II di Napoli.

Bio Autore

Elena Di Vaia

Cresciuta sulle ginocchia del nonno tra le vendemmie.
Immersa alla scoperta del vino con il papà. Sommelier Ais per forza di gravità.
"Si mens et corpus homini vino flagraret"- la mente e il corpo dell'uomo ardono per il vino, recitava Platone. Da brava discepola laureata in Filosofia ma curiosa del mondo, passeggio tra l'Economia Civile ed un Master in Etica Economia e Management.
Hobby? Comunicare e scrivere.Così vago tra ospiti e interviste nel mio format radiofonico RadioWineDesign dall'istituto Italiano di Design di Perugia.
Articolista Freelance, perchè se non chiacchiero di vino sento il bisogno di traslare le parole su carta. Il fenomeno che mi piace analizzare? La comunicazione su Instagram.
Hai mai sentito parlare del WineErasmus? Il progetto che porta il vino on the road ?!
Collaboro sulla rivista "The Design Magazine" con la mia rubrica "Wine Design".
Per sapere di più, un Simposio platonico è quello che ci vuole.

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