L’Abbuoto, il vino dell’Antica Roma

Vigneti Monti Cecubi

Fuori dai confini del suo territorio è ancora un vitigno semi sconosciuto, invece l’Abbuoto è molto pregiato poiché è il vino che bevevano gli Antichi Romani. Siamo sulle colline di Itri, tra Fondi e Sperlonga, in provincia di Latina, nel basso Lazio. In una zona dove la viticoltura era ormai scomparsa l’Azienda Agricola Monti Cecubi, di proprietà della Famiglia Schettino, è stata pioniera della sua reintroduzione.

Attraverso numerose ricerche sui vigneti antistanti la tenuta, l’Azienda ha scoperto come le tipologie di vitigni presenti, tra cui l’Abbuoto e l’Uva Serpe, fossero autoctoni del luogo e grazie alla sperimentazione nel piantare queste varietà che ben si adattano all’ambiente oggi è l’unica che le vinifica, tramite sistema biologico, con l’intento di sperimentarne il potenziale enologico per riportarle in auge.

Vigneti Monti Cecubi

Illustri poeti come Orazio, Plinio il Vecchio e Columella hanno decantato nei loro scritti le qualità organolettiche del Vino Cecubo, identificandone la zona di provenienza, un tempo definita “Ager Caecubum“, proprio nei luoghi dove oggi sorge l’Azienda Monti Cecubi.
In passato per “cecubo” quindi non si voleva intendere una particolare varietà di uva, bensì una specifica zona particolarmente vocata alla produzione di vini di qualità. Quella che oggi potrebbe essere intesa come una Doc. È chiaro quindi come il Cecubo diviene in tal senso l’identità di un territorio.

Cartina Ager Caecubum

L’Abbuoto era proprio una delle varietà che venivano utilizzate per l’antica produzione del Vino Cecubo. Vitigno a bacca rossa con grappolo di dimensioni medio-grandi e un acino dalla buccia spessa e pruinosa, l’Abbuoto è oggi ufficialmente inserito dalla Regione Lazio nella pubblicazione dell’A.R.S.I.A.L. delle “Varietà Locali Tutelate”.

Grappolo Abbuoto

Sull’etimologia non si hanno notizie certe, presumibilmente il nome deriva dalla vicinanza dell’area di origine, in particolare la zona di San Raffaele – Fondi, al lago di San Puoto. Molto probabilmente il termine “Abbuoto” proviene proprio dalla trasformazione del nome “San Puoto”.
Questo vitigno era diffuso tra Terracina, Fondi ed Itri e si addentrava nell’entroterra fino a Fiuggi nella cui regione rimase in produzione finché l’imperatore Nerone, a metà del primo secolo Avanti Cristo, non fece costruire diverse opere, come canali e bacini, che distrussero molti vigneti. Oggi, grazie ai Monti Cecubi, possiamo avere il piacere di degustare quel vino di cui si inebriavano i nostri antenati romani.

Ho avuto modo di conoscere questa realtà ad un evento a cui ho partecipato a Novembre 2019, “Due Passi In Vigna”, degustazione organizzata da “Vinario 4” presso il Mercato Centrale di Roma. Successivamente scambiandomi qualche e-mail e qualche telefonata con l’Enologa dell’Azienda, la Dott.ssa Chiara Fiabetti, ho avuto modo di degustare la loro intera line-up, ed in particolare proprio l’Abbuoto.

Uva Abbuoto in purezza, mosto fermentato con lieviti indigeni, viene affinato in grandi botti di rovere per 6 mesi e poi in bottiglia per altri 6. Non filtrato, questo vino si presenta al calice di un colore rosso porpora, con sentori di frutta rossa, prugna soprattutto, che si fondono ad intense note di caffè e boisé. L’assaggio è fresco, armonico, dal tannino fine ed elegante. Via via che sosta nel calice si fa leggermente più complesso e di corpo. Abbinato a piatti saporiti, come zuppe o carni rosse e formaggi stagionati, dà il meglio di sé anche da solo, come vino da meditazione o accompagnato a del cioccolato fondente.

Una realtà tutta da scoprire, quella dei Monti Cecubi, che incarna alla perfezione quella tipologia di Azienda capace di unire tradizione e modernità, riportando in auge vecchi vitigni che altrimenti sarebbero andati perduti, sperimentandone la coltivazione con sistemi innovativi.

Bio Autore

Carla Benvenuto

Classe 1988, laurea in Scienze della Comunicazione, Informazione e Marketing, da sempre la scrittura è la mia forma d’arte preferita. Pur evolvendosi nel tempo, dai temi fantasiosi delle scuole elementari e medie, ai diari con i lucchetti in adolescenza, ai blog, fino ad approdare oggi ai social network, l’ho scelta sempre per raccontare una storia, per emozionarmi ed emozionare, per condividere e comunicare, per lavorare.
Un anno fa per seguire una mia grande passione, quella per il vino, approdo in questo meraviglioso mondo grazie ad un corso FISAR. Non ho potuto far altro, tra un calice e l’altro, che coniugare scrittura e vino.
Le mani sudano, gli occhi brillano e le parole vengono da sole quando scrivo di un’etichetta che mi ha colpita, quando racconto una storia legata ad un’azienda vitivinicola, quando parlo di una visita in cantina. E’ un impulso vitale, e credo di non poter fare nulla di meglio nella vita perché questa è l’unica cosa che voglio fare.

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