EgoSushi: contaminazioni partenopee incontrano il Giappone

egosushi

Durante l’estate 2022 ho trascorso qualche giorno a Napoli e ho chiesto a mio fratello di portarmi in qualche locale particolare dove mangiare Sushi.

Saliamo in auto e percorriamo quelle che per me sono strade note ma che hanno il sapore nostalgico dell’adolescenza, della gioventú, delle medio lunghe attese per la metropolitana, tutto quello che ha rappresentato la mia vita fino ai 19 anni a Napoli. Arriviamo nella zona di Medaglia d’oro e cominciamo a camminare: la meta è una “sorpresa”. Non so dove stiamo andando e questo ha reso il tutto piú entusiasmante. Di solito mi preparo prima, leggo del locale, ne studio il menú, la carta dei vini…Insomma arrivo preparata. Questa volta no. Alberto, mio fratello, mi racconta strada facendo che questo “non è il solito locale di Sushi. Poi capirai perchè”.
Arriviamo in Via Giotto al Vomero e i miei occhi leggono l’insegna subito incuriosita dalla scelta del nome e dei colori: EGOSUSHI, TRATTORIA GIAPPOITALIANA.
Ecco qui, ci siamo, un locale fusion, che per inciso non mi entusiasmano tantissimo. Beh questa volta, il mio scetticismo si è dovuto piacevolmente ricredere. Aggiungo anche che mi serva di lezione non lasciarmi trasportare dalle sensazioni e credere invece in quello di cui si può fare esperienza. Vi ricorda una certa filosofia?!
Entriamo e subito il fascino dei colori divampa e ti abbraccia: i colori tenui ed “educati” del Giappone incontrano quelli “sfacciati” e folkroristici di Napoli. Non sono solo due mondi che s’incontrano: il Sol Levante si apre all’Italia  come una combinanzione di ingredienti. Adoro la scelta del design, e la divertente accuratezza dei dettagli. Ci sono molti lego che adornano il locale, quadri coloratissimi di Nigiri vestiti da San Gennaro (si avete letto bene). Modellini di vespe azzurro Napoli accanto a bambole Kokeshi. Una vetrata del Vesuvio che vagamente ricorda e rimanda al Monte Fuji. Una scritta Fluo “All you need is Sushi”. “La grande onda di Kanagawa” che sembra trasportare asinelli, mandolini, simboli tipicamente folkrostici Napoletani. Un design moderno ma con elementi nostalgici. Potrei andare avanti all’infinito ma preferisco che siano le foto a parlare per me. Insomma quando dici di amare qualcosa e fai in modo di condividerlo con altri, insieme ad altri,  per gli altri. Non è forse questa la miglior rappresentazione di una passione?!



Ci sediamo ad un tavolo per due vicino alla grande vetrata che affaccia sulla strada dove di fronte hai, un po’ provocatamente, una pizzeria. Lo staff in sala ti accoglie con molto calore.
Quando siamo arrivati c’eravamo solo noi e un’altra coppia (erano circa le 20.00 del sabato); nell’arco di 20 minuti il locale, che può ospitare a mia memoria, circa 20 coperti, si riempie.

Fin qui il racconto non è solo la descrizione di ciò che i miei cocchi hanno visto. E’ una vera e propria esperienza di tutto quello che ti circodana dal momento che ti siedi in un locale e decidi di aprirti alla novità.
Il menú diventa un momento di creatività da EgoSushi: l’antipasto diventa “pe tramente” (nel frattempo), la sezione dei gyoza “facc quatt gyoza” (facci quattro gyoza). Non hanno solo preso l’arte culinaria giapponese del Sushi e “messa” a Napoli: hanno preso il concetto (come lo dico io) di “sushitudine” e l’hanno sposato e portato a Napoli.
Come antipasto decidiamo di prendere i Takoyaki (たこ焼き), polpette fritte ripiene di polpo, tout court, che simpaticamente chiamano “Pall’e pesc”. La frittura è leggera, il polpo (per nulla scontato) è ben presente, morbido e perfettamente integrato con la pastella.
Procediamo poi  con il loro cavallo di battaglia: il #tramezushi che è il business core del locale. Letteralmente un tramezzino (fritto se no che napoletanità è) rimpieno di vari ingredienti che possono andare dal salmone, piú classico, a mozzarella di bufala, cacio e pepe o ancora friarielli e provola. Intrigante, inaspettato, gustoso. Senti le papille danzare.
Passiamo ai gyoza “Perchè m’piace” alla genovese con pecorino grattuggiato. Tutti gli ingredienti si incontravano in bocca in maniera equilibrata. Tra sapidità, avvolgenza e sapori che man mano s’incorporavano tra loro sempre piú.

Abbiamo accompagnato le portate con un vino campano: Coda di Volpe Irpinia  Doc dell’azienda Tenuta Ponte, che con la sia freschezza e sapidità è riuscito a reggere ma soprattutto ad incontrarsi perfettamente con le diverse portate e le diverse caratteristiche organolettiche dei piatti. In carta dei vini ci sono molti vini campani per richiamare e rimarcare il territorio.

Ultimiamo con un Tramemisú, riso al cioccolato e panarura al caffè, crema al mascarpone, panna e topping al caffè. Anche qui hanno destrutturato il tiramisú e reinvetato in una vesta piú moderna, nuova, al passo con i tempi in cui si cerca qualcosa di inaspettato ma con sapori che conosciamo senza mai mettere da parte la curiosità per ingredienti nuovi che siano in grado di stuzzicarci creando nuovi ricordi, nuove caselle nella nostra memoria sensoriale ma anche nuove esperienze che rendano la condivisioni di attimi come questo, un dolce ricordo.

Un’esperienza gastronomica ricca di sorprese. Un “sushi” gourmet con continui richiami al territorio. EgoSushi ha osato e l’ha fatto alla grande!
Non è solo una trattoria giappoitaliana, è una vera e propria provocazione.

“Sono il primo amante della napoletanità, di tutta la napoletanità che si trova nei colori, nelle canzoni, negli oggetti, nei portafortuna. Quando sono triste, vado in giro nel centro storico per respirare Napoli, la terra, gli odori, i suoni. Questo mi fa sentire meglio ed  è quello che ho provato a fare nel mio locale, anche se non ho finito, è un continuo divenire, una continua crescita” – mi racconta il proprietario del locale in uno scambio di battute post cena.

Di tutta questa meravigliosa esperienza, non mi resta che ringraziare mio fratello per avermi portata da EgoSushi facendo infrangere tutte le mie barriere per far fronte alla scoperta e alla sorpresa.

Bio Autore

Elena Di Vaia

Cresciuta sulle ginocchia del nonno tra le vendemmie.
Immersa alla scoperta del vino con il papà. Sommelier Ais per forza di gravità.
"Si mens et corpus homini vino flagraret"- la mente e il corpo dell'uomo ardono per il vino, recitava Platone. Da brava discepola laureata in Filosofia ma curiosa del mondo, passeggio tra l'Economia Civile ed un Master in Etica Economia e Management.
Hobby? Comunicare e scrivere.Così vago tra ospiti e interviste nel mio format radiofonico RadioWineDesign dall'istituto Italiano di Design di Perugia.
Articolista Freelance, perchè se non chiacchiero di vino sento il bisogno di traslare le parole su carta. Il fenomeno che mi piace analizzare? La comunicazione su Instagram.
Hai mai sentito parlare del WineErasmus? Il progetto che porta il vino on the road ?!
Collaboro sulla rivista "The Design Magazine" con la mia rubrica "Wine Design".
Per sapere di più, un Simposio platonico è quello che ci vuole.

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